lunedì 28 maggio 2007

Padre Rupnik sullo Spirito Santo

Lo Spirito Santo, questo «sconosciuto». «Ah, se ci facessimo ispirare di più da Lui, quanto ne guadagnerebbero le relazioni con gli altri, i rapporti sociali e anche la stessa evangelizzazione». Sospira padre Marko Ivan Rupnik, gesuita, artista di grande fama e direttore del Centro Aletti, presso il Pontificio Istituto Orientale. Per la sua attività, per la sua spiritualità, per la sua vita di fede il riferimento alla terza Persona della Trinità è imprescindibile. Ma si rende anche conto che, purtroppo, non sempre è così per tutti. E che lo Spirito Santo rischia di essere «il grande dimenticato». Perciò in occasione della solennità di Pentecoste il suo invito è chiaro: «Facciamo più spazio allo Spirito nella nostra vita».
Padre Rupnik, ha anche lei l'impressione che dello Spirito Santo si parli poco oggi?
«Sì, penso che non lo si consideri abbastanza, nonostante il fatto che uno dei grandi meriti del Concilio Vaticano II sia stato proprio la "riscoperta" della pneumatologia all'interno della vita cristiana. Oggi, del resto, viviamo un momento di difficoltà, che comporta il rischio di ideologizzare la fede, di farla scadere a puro moralismo o una forma di volontarismo. Anche il grande impegno della nuova evangelizzazione non suscita il fascino e l'attrazione che vorremmo. E allora dobbiamo domandarci: "Perché?"».
Già, perché a suo parere?
«Mi chiedo se malgrado i nostri sforzi una certa siccità spirituale non provenga proprio dalla scarsa considerazione della presenza dello Spirito Santo nella propria vita e nella Chiesa. Egli è il Signore che dà la vita e la vita si trasmette attraverso la relazione. Lo Spirito ci mette in relazione con Dio, instaurando una partecipazione d'amore. Senza di Lui prima o poi anche Dio, Cristo, il Vangelo, la Chiesa ci diventano estranei, qualcosa che ci viene dall'esterno, ma non ci coinvolge. A lungo andare, dunque, si resta a bocca asciutta, questo modo di vivere la fede non è gustoso. Magari ci si sforza di mettere in atto il Vangelo, ma se viene meno la relazione viva, che è l'amore, tutto stanca. Ignazio IV di Antiochia diceva che senza lo Spirito Santo il Vangelo è una lettera morta, la Chiesa un'organizzazione sociale, l'obbedienza una manipolazione, Dio una teoria. Con lo Spirito Santo Dio diventa nostro Padre, Cristo diventa mio Signore e Salvatore, il Vangelo la parola della vita e la Chiesa una comunità che ci innesta nella Trinità. Oggi siamo troppo abituati a pensare in termini meramente razionali. Lo Spirito ci rende invece capaci di un pensiero che sorge dall'amore, pensa con amore e porta all'amore».
È ciò che il Papa intende dire quando invita ad allargare gli spazi della razionalità?
«Il Santo Padre in effetti sta insistendo proprio su questo tema. L'uomo pensa con tutto ciò che è ed è ciò che è redento da Cristo, allora pensare significa pensare in Cristo e con Cristo. E così può pensare solo l'uomo in sinergia con lo Spirito che lo penetra, poiché è lo Spirito l'artefice dell'incarnazione del Verbo. Questo è proprio ciò che è avvenuto nell'annunciazione e Maria è l'esempio della sinergia tra il divino e l'umano, il sì all'azione dello Spirito».
Come si fa a lasciare più spazio allo Spirito Santo nella nostra vita?
«La festa di Pentecoste è senz'altro un momento privilegiato. Ed è un bene che in molte comunità si stia recuperando l'antica tradizione della Veglia. È importante, infatti, la preghiera. Anzi, quando preghiamo, è lo Spirito che prega in noi, che in noi grida Abbà, perché la preghiera ci fa prendere coscienza della nostra relazione di figli rispetto al Padre. Secondo elemento: la Bibbia. Dobbiamo aiutare i fedeli a comprendere che la Scrittura è tutta impregnata di Spirito Santo. Dunque, se io seguo la Parola, divento conforme a Cristo, mi sento figlio, percepisco gli altri come fratelli e viceversa. E così torniamo al tema della relazione».
Lei è un artista. Anche la bellezza può avvicinarci allo Spir ito?
«Florenski diceva che la verità rivelata è l'amore e l'amore realizzato è la bellezza. E Solov'ev aggiungeva che non sono le muse a ispirare gli artisti, ma lo Spirito Santo. Dunque la vera arte, quella che rende presente il Mistero, può senz'altro nutrire la nostra spiritualità».

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